Il terremoto di Messina e Reggio

(Autori  della poesia Giovanni e Italo Rappazzo)

Vi  narrerò di mia città nativa,
di millenaria e di gloriosa storia,
colpita allor da sorte sì cattiva
da ritornar ancor nella memoria.

Nessun chiarore ancora è principiato
quando un boato è l’infausto segno
di scuotimento forte e prolungato
che sta squassando di Nettuno il regno.

Intanto che i sismografi del mondo,
tremando solcano il fatal tracciato,
spiran le vite secondo per secondo
sacrificate al mostro inusitato,

ch’abbatte distrugge fa carneficina
sferrando falce, che miete innocenti,
su l’antiche perle: Reggio e Messina.
e le trasforma in mare di lamenti.

E mentre i muri crollan con fragore
e le case cadon giù a cento a cento
nella tenaglia del mortal tremore
patisce il misero e nel  terrore è spento.

Mentre il tremito rinnovasi incessante
e il fuoco è alimentato dalla terra,
il diluvio infuria flagellante
e la saetta la sua forza sferra.

In un primo istante il mare si nasconde,
le navi in porto van toccando il fondo.
Dopo alcuni minuti arrivan l’onde
col loro moto bruto e furibondo.

Per quell’aria dalla magia arcana,
chilometrica ed altera Palazzata,
rispecchiantesi  con fata Morgana,
s’ immerge sotto i colpi dell’ondata!

In pochi istanti sono devastate
due belle gemme nel fatale seggio:
dal terremoto vengon cancellate
in quel funesto dì Messina e Reggio.

Quanti episodi tutti veritieri
di quelle ore piene di mestizia
potrebbero riempire libri interi
narranti tanta storie con dovizia!

Una giovane è stretta da una trave,
per le gambe, le penzola la testa,
da un alto muro oscilla come nave
sbattuta da marosi di tempesta.

Implora aiuto e pietà dagli umani,
chiama la madre , il padre , i suoi fratelli…
piange ,dispera , tende le sue mani…
ma a un nuovo crollo…va a raggiunge quelli.

Una mamma  protegge il figlioletto, (1)
tutti i parenti trovansi lontano
l’urto violento la getta giù dl letto;
lei si ferisce:le sanguina la mano.

Cupo rumore giunge dall’esterno
ed il suol fremendo le da gran terrore
un architrave fa con volta perno
salvandoli dall’ira e dal furore.

La madre stringe al seno il suo diletto (2)
tremano insieme, anelano un chiarore.
Una candela da il desiato effetto
e fioca luce appar col suo pallore.

Pensano di fuggir con quegli albori
e andare in cerca di salvezza certa.
La porta al  pianterreno che da fuori
chiusa è da massi che le fan coperta.

Risalgono tremanti al primo piano
per tentare la fuga dal balcone
e richiedere l’aiuto di una mano…
Ma uscire fuori è una vana illusione!

“Oh grande Iddio!. Tu sol ci puoi salvare!”
Fu la preghiera della madre e figlio.
“Aiutaci, ad aprire ed a trovare
un agevole varco nel periglio!”

Con la speranza di chi grazia aspetta,
trova coraggio di potere oprare
dopo aver preso una tagliente accetta,
si mette delle imposte a scardinare.

Sul tenebroso ed insicuro vano
s’elevan gran macerie dall’esterno;
tentare ancora è faticare invano:
quella è una bolgia del mostruoso inferno.

Ma nuova idea ha la materna  mente:
d’abbatter  local muro divisore;
si pone all’opra si furiosamente
aprendo breccia che da forza al cuore!

“Mio Dio!.. Ov’è Messina? Dove le strade?
Cerchiamo figlio mio tua sorella.”
La madre al buio ad ogni passo cade
nel tentativo di raggiunger quella!

Vento e diluvio in forma torrenziale,
investono i due miseri sgomenti
e il maremoto con collera li assale
sbattendoli su ruderi taglienti.

Allora come naufraghi nel mare,
s’afferrano a un legno di un portale
e galleggiando con alterno andare
raggiungono la Piazza d’Arsenale.

Trovaro infine un imprevisto scampo
dal tristo agguato e dai mille tormenti
quando incontraro al Gran Camposanto
la figlia illesa ed alcuni parenti.

Un altro caso mi commosse tanto
e mi ricorda il supplizio di Messina,
che livellato ha l’amor col pianto
nell’alba triste di quella mattina.

Una bimbetta vola nella culla,
che d’alto piano diruto si proietta.
Lei pensa a un bel regalo e si trastulla
e al petto tiene una bambola stretta.

Cadendo sbatte su cumuli di sassi,
scavalca abissi, poi fa una calata
e frena l’urto su dei materassi.
Viene presa e alla fin sarà salvata.

Ella ha perduto tutta la famiglia
ma per fortuna appare vispa e sana;
un padre e madre l’avranno come figlia:
un episodio di pietà cristiana.

Ma anche branchi di lupi in forma umana,
venendo da contrade circostanti,
si uniscono ai briganti la cui tana
aperta s’era in quei pochi istanti.

E  datisi al saccheggio più brutale
spoglian le vittime d’ogni ornamento
e la loro malvagità è così tale
da mozzar dita e orecchie nell’intento.

Quest’è l’uomo, misto di bene e male,
capace delle più eroiche imprese,
che a volte anche divien belva infernale
pronto a recar le più tremende offese!

Mai  videro le rive si splendenti
Di quel giardino così duro danno
che in un batter d’occhio fulminò le genti
di due Sorelle unite nell’affanno.

Nonostante che il tremulo tracciato
ovunque desse il crudele segno,
non si capì cos’era capitato
da qualche parte nell’italo regno.

Solo alla sera una fragil nave
partita da Messina di gran fretta
potè comunicare ili fatto grave
successo pria dell’alba maledetta.

Un brivido allor vibrò nel mondo,
mentre turbe superstiti vaganti
tra le crollate mura in cima e fondo
piangevano chiamando i lor mancanti.

Si diedero da far per il soccorso.
“Solo la flotta sarà adatta all’uopo.”
Troppo però il tempo trascorso;
l’aiuto giunse qualche giorno dopo.

Intanto i Russi su guerriere navi,
che si trovavano in una vicina rada,
vennero i prima valorosi e bravi
a contenere la cruenta spada.

Tal tempestivo aiuto fu d’esempio
ai popoli civil che nobilmente
diedero il cuore nell’immenso scempio
alleviando sciagura sì possente.

E Messina serba nel ricordo
chi le diede eroicamente quegli aiuti
e alle grida strazianti non fu sordo
salvando vita a dei sopravvissuti.

Mentre gli scavi, fra tanta rovina,
fervevano incessanti fino a sera,
Roma decretò: ”Non più Messina
risorgere dovesse dove prim’era. “

Come Pompei, Ercolano e Stabia
rimanesse sotterrata nel profondo
e i miseri rimasti senza patria
andassero dispersi per il mondo.

Ciò non mosse i colpiti da lor mura,
intrise ancor di sangue e diroccate,
affratellati da comun sventura,
attratti dalla terra delle fate!

Commossi la Vergine ed i Santi
Per il rimasto popolo distrutto
“Che fossero ascoltati tutti quanti
Dal Sommo Capo che sostiene il tutto!”

E ottener che Messina come incanto
Risuscitasse dalle sue rovine
E ritornasse al mondo  a menar  vanto
Della  sua grande bellezza senza fine!

Il sangue che nelle sue arterie scese
le sia a suscitar forza fecondo.
La fiamma che ogni cuor allora accese
oggi sia face al suo cammin nel mondo!

Giovanni e Italo Rappazzo

(1) Si trattava di mia madre: Marianna Sartorio
(2) Si trattativa di mio fratello: Basilio Rappazzo